IAIP – Internacional Association of Individual Psychology

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23th Congress of the International Association of Individual Psychology
L’APPROCCIO PSICOSOCIALE NELLA PSICOLOGIA DELL’EMERGENZA
Marco Bellagamba Psicologo, Psicoterapeuta, Analista Adleriano marcobel[email protected] Maria Teresa Fenoglio Psicologa di comunità Quello che Alfred Adler ha evidenziato, ha trasmesso, ha sollecitato con il suo stile di vita è importante anche per la Psicologia dell’Emergenza ( anche se questo ambito di intervento appartiene più al nostro tempo che al suo ). Essendo inoltre un ambito in grande sviluppo ed espansione ci sono atteggiamenti del tipo ” assalto alla diligenza ” rispetto ai quali il nostro intervento vorrebbe anche essere un invito alla cautela, non a stare fermi, non a rimanere a guardare, ma a tenere assolutamente conto di quella dimensione culturale all’interno della quale l’evento critico si verifica, senza sopravvalutare il nostro potere di aiutare le vittime di una grave crisi, e valorizzando ed incoraggiando le risorse degli individui e dei gruppi colpiti attraverso una empatica vicinanza umana. Questo lavoro nasce dall’incontro tra persone e formazioni diverse. Da un lato uno psicologo con una formazione clinica seguita sia in ambito universitario e specialistico ( laurea in psicologia e specializzazione in psicologia clinica ), sia in ambito individuale ( formazione analitica e partecipazione alla Scuola IndividualPsicologica ). Dall’altra una psicologa impegnata nel lavoro di analisi ed intervento sulla comunità e sul contesto ambientale. L’incontro avviene su un terreno di lavoro che si è andato delineando negli ultimi tempi nella sua relativa autonomia da campi di intervento confinanti, la Psicologia nelle situazioni di Emergenza, dove sono molteplici gli spunti di integrazione e sinergia tra approcci differenti. Il luogo fisico di tale incontro è una Associazione di Volontariato Professionale, Psicologi per i Popoli, aperta a psicologi ma non solo, che opera prevalentemente nelle situazioni di emergenza e di cooperazione internazionale. Fin da subito appare molto significativa la convergenza tra Alfred Adler ed una modalità, in Psicologia dell’Emergenza, di intervento psicosociale, cioè in grado di tenere in considerazione primaria gli elementi relativi al contesto ambientale, alla fitta rete di relazioni tra le persone, all’organizzazione degli individui tra loro ed in rapporto con le tradizioni culturali, alla dimensione sociale insita in ciascun essere umano ed in grado di modularne il comportamento. La considerazione di Alfred Adler per gli aspetti sociali dell’esistenza appare importante, e può essere evidenziata da molti fattori : fin dai tempi dell’Università si interessò di problematiche di Medicina Sociale e sono numerose le pubblicazioni in cui viene dato risalto al bisogno di “forze sociali nella medicina” ( Adler, 1902 ); si interessò di politica e fu affascinato dal socialismo, inoltre fu sempre molto partecipe della vita popolare della città di Vienna, al punto che al termine del primo conflitto mondiale i nuovi amministratori della città gli offrirono la possibilità di mettere in pratica le sue innovative idee facendo nascere luoghi di incontro e scambio tra figure professionali diverse e luoghi sperimentali di gioco ed apprendimento per bambini; partecipò come ufficiale medico alla prima guerra mondiale e ne fu talmente scosso da non sembrare più la stessa persona, prendendo posizione molto netta contro i sostenitori del conflitto ed affermando con forza il concetto di cui il mondo aveva più bisogno in quel periodo, il sentimento sociale, cooperativo ed emotivamente compartecipativo; lo stile terapeutico di Adler, pur facendo riferimento a solidi e rigorosi costrutti teorici, denotava un atteggiamento di fondo verso il prossimo di grande apertura, disponibilità ed ottimismo, ingredienti fondamentali per un rapporto empatico ed incoraggiante; la Società scientifica da lui fondata, dopo la scissione da Freud, aveva caratteristiche di apertura sia per quello che riguarda la composizione, essendo frequentata anche da non medici, sia a proposito dei temi affrontati nelle discussioni, che spaziavano in aree diverse dalla medicina avendo sempre come riferimento di base il quadro sociale; lo stile con il quale ha interpretato la sua vita sembra ben rappresentare la complessa struttura della sua teoria, inoltre, l’acume clinico gli permetteva di raggiungere le profondità dei tortuosi intrecci psicologici, ed era vissuto con partecipazione e vicinanza, presenza e condivisione, reciprocità ed impegno; e da ultimo il concetto chiave della speculazione psicologica adleriana, che Adler stesso definisce ” il sentimento per la comunità è lo scopo che ci guida, la condizione ideale, mai raggiungibile nella sua completezza, ma che continuamente ci addita la strada da seguire. Questo sentimento, che trae la sua forza dalla logica dell’esistenza sociale, favorisce e benedice quelli che lo seguono e punisce quelli che deviano o che gli sono ostili. La sua crescente influenza nella vita dei popoli crea gli adattamenti sociali e attenua il bisogno della vita eterna, rafforzando i deboli, sostenendo quelli che cadono, correggendo quelli che sono stati tratti in errore. L’umanità, che si è assunta l’incarico di fare di se stessa il centro delle cose terrene e persino degli eventi cosmici, può raggiungere le sue mete solo se il bene fisico e spirituale di tutti è considerato come il fattore principale di tutti gli eventi della vita ” ( in Bottome, 1939 ). Quei progetti sociali che oggi si rivolgono al cambiamento e al riscatto di popolazioni grandi e piccole e di soggetti, fanno spesso riferimento alla “prospettiva psicosociale”. Il termine è entrato nel linguaggio condiviso della cooperazione internazionale, degli interventi di sviluppo di comunità, e della psicologia dell’emergenza. E’ cosi diffuso che è opportuno risalire alle radici semantiche di questa espressione, che rischia in taluni casi di ridursi al solo aspetto rituale. Per dirla con le parole di uno dei fondatori dell’intervento psicosociale, Seymour B.Sarason, al quale si riconduce anche l’introduzione della Psicologia di comunità, “Psicologia significa studio della psiche umana, nella gran parte dei casi studio della psiche individuale. Cosa che, come l’amore, non basta “. Il termine psicosociale sembra quindi poggiare, innanzitutto, su una istanza etica, su una forma di amore più estesa ed esplicita, quella che si rivolge, oltre che all’individuo, alla società nel suo complesso. Da un punto di vista teorico il termine psicosociale rimanda direttamente all’ambito della psicologia sociale, e quindi al concetto lewiniano di “campo”: un sistema di interdipendenza di fattori cognitivi, emotivi ed ambientali che si definiscono “in azione”. La visione specifica a cui il termine psicosociale fa riferimento è quella dell’individuo nel contesto, e del cambiamento, come di un processo che esalta la reciproca influenza tra questi due fattori. Visione e metodologia “psicosociali” ci costringono perciò a ragionare costantemente di interazioni tra realtà, che sono individuali, gruppali, organizzativo/istituzionali e comunitarie. Lo psicologo che opera in questo quadro concettuale è chiamato perciò a favorire, là dove sta intervenendo, la costituzione e il mantenimento di un “apparato per pensare la realtà”, che sia complesso ed interdisciplinare. Questo operatore coniuga le specifiche competenze sui contesti con la consapevolezza e sicura capacità di individuazione dei fattori psicodinamici che investono tanto i singoli che le organizzazioni ( resistenze, obiettivi inconsci e fantasmi ). Ne deriva una competenza che Gian Francesco Lanzara chiama ” l’intelligenza sui polpastrelli delle dita “: una disposizione professionale che trae alimento dall’etica, ma che si radica nella esercitata adozione di teorie e di procedure. Sono molti oggi ad affermare che il grande malato è il legame sociale. La progressiva frammentazione dei legami sociali e del senso di appartenenza, fenomeni visibili anche nelle nostre società opulente, assumono livelli drammatici nelle comunità sconvolte da calamità o guerre. E’ sempre più complesso, e può diventare impossibile per i soggetti identificarsi come parte di un contesto e di un processo storico che consentano di individuare un posto per sé nelle vicende generazionali. Lo studio della comunità colpite da disastri e i progetti psicosociali elaborati ai fini della loro ricostruzione costituiscono oggi un utile campo di prova di teorie e metodi esportabili anche nelle più modeste “situazioni di crisi” di casa nostra. Queste esperienze, in particolare quelle sviluppatesi nella ex Jugoslavia, hanno reso evidente come le esperienze traumatiche colpiscano simultaneamente sia i singoli che le comunità, le quali entrano in risonanza, e che occorre ricostituire la funzione riparatoria di queste ultime per accrescere le naturali capacità individuali di far fronte agli avvenimenti. Nel progettare ed attuare un intervento psicosociale occorre avere presente che cosa faccia di una comunità una comunità. Lo psicologo e il terapeuta oggi devono avere dimestichezza con categorie sociologiche e antropologiche; saper cogliere il significato dei ruoli e delle generazioni; far appello a competenze collettive ad affrontare la nascita, la malattia, la morte; integrare il lavoro psicologico con il sistema di rituali, di festività, di credenze e religiosità; valorizzare gli elementi umani, fisici e simbolici nei quali si “deposita il senso di appartenenza”. L’intervento psicosociale si riferisce in particolare a tre grandi ambiti di sofferenza direttamente collegabili agli eventi catastrofici, ma riconducibili anche alla natura stessa dell’essere umano : · una sofferenza legata alla grande ambivalenza umana, sempre spinta al desiderio di una affermazione e legittimazione individuale, ma bisognosa allo stesso tempo di riconoscimento e di considerazione sociale; · una sofferenza civile che riguarda la consapevolezza della grande debolezza e vulnerabilità umana, per cui alcuni, in relazione ad eventi relativamente accidentali, periscono, o patiscono gravi conseguenze, ed altri, mossi almeno un po’ dalla condivisione dello stesso stato emotivo, per esperienza ovvero per sensibilità, accorrono e si prodigano, negli incidenti o nelle situazioni di emergenza, per alleviare la sofferenza altrui ma forse per rispondere, o almeno tentare di farlo, anche alla propria; · una sofferenza che vorremmo definire psicosociale legata alla profonda crisi che attraversano il nostro mondo e la nostra società in relazione alle grandi pressioni esercitate dall’aumento del potere e della possibilità di controllo ( sul mondo e sugli uomini ) attraverso sempre nuovi e sofisticati strumenti ( la comunicazione e la tecnologia ), senza che ci sia parallelamente una crescita etica e di valori che permetta di equilibrare gli effetti dello sviluppo, evitando le ripercussioni negative sul grande ecosistema terrestre ( e sui più piccoli nello specifico ), e su grandi fasce di popolazioni ( o su più piccole minoranze ). Occorre però considerare che a queste sofferenze esistenziali si aggiungono le specifiche sofferenze legate alle situazioni ed ai contesti di emergenza. Anche queste sofferenze riguardano la comunità intera che viene colpita ed in più quelle persone che a vario titolo sono coinvolte ( soccorritori, familiari lontani, spettatori impotenti, sopravvissuti ). Condividendo Ranzato et al. ( 2003 ) vorremmo sottolineare l’importanza di aspetti fondamentali nella programmazione di interventi operativi : · la sofferenza di un sopravissuto ad una catastrofe non è una malattia e non va medicalizzata; · le emozioni che succedono ad un evento traumatizzante, non solo sono reazioni normali ma anche reazioni funzionali al superamento della situazione vissuta; · il tempo può aiutare a guarire e sono legittime le difese temporanee di rimozione; · bisogna lasciare al lutto tutto il tempo necessario alla sua elaborazione; · il genitore e le figure accudenti sono la medicina del bambino in caso di grave disastro; · la comunità ha in se stessa risorse importanti per aiutare i suoi membri a sopravvivere anche psicologicamente. Al cospetto di dolori e devastazioni, individuali e di comunità, che accadono nel nostro tempo, Alfred Adler e le sue teorizzazioni, sembrano ricondurre ad un discorso di responsabilità. Una responsabilità civile e morale della persona, ma anche una responsabilità etica e professionale, in particolar modo nei contesti di emergenza. L’evidenza di un bisogno di assunzione di responsabilità soggettiva ci sembra possa essere ripreso nei seguenti punti : · la responsabilità individuale è compresa nel più ampio ambito della partecipazione al cambiamento. Tale cambiamento implica elementi diversi, evolutivi ( come per l’importanza di stare vicini ad un bambino che cresce ), ricostruttivi ( come quando bisogna raccogliere ciò che rimane dopo una devastazione, fisica o psicologica, e tentare di ristabilire un senso della vita ), critici ( nel senso della disponibilità a rimettere in crisi le certezze e le cose ormai scontate, per una aspirazione ulteriore di benessere e di equilibrio ) e che a volte possono anche comparire insieme, diversamente miscelati, nelle stesse situazioni. E ogni cambiamento, ogni elemento contrattuale, ogni crisi, genera conflitto. Il fattore importante è la possibilità e la capacità di affrontarlo; · la responsabilità individuale si può ricondurre alla connotazione collettiva e sociale del dolore. Coloro che soffrono propongono, debolmente ma autorevolmente, una condivisione dello stato di malessere, in considerazione della sostanziale condivisione del limite della condizione umana. Una sollecitazione a tutte le persone ad intervenire, in modo solidale, sulle cause radicali della sofferenza, secondo i caratteri della reciprocità ed intersoggettività, attraverso la compassione ( soffrire insieme ); · la responsabilità potrebbe essere, specie per le comunità e per chi lavora nelle situazioni di emergenza, la proposta di esporsi alla colpa. Certo chi ha accettato una sicurezza rigida ed onnipotente; chi ha accettato la delega totale di autonomia e libertà rinunciando, per i motivi più vari, intrapsichici o culturali, ad essere autentico; chi ha deciso di abbracciare gli orientamenti iperindividualistici, come compensazione dei sentimenti di inferiorità ed inadeguatezza; chi ha scelto il principio del piacere e del tutto e subito, ritenendoli preferibili a ciò che, solo nel tempo e dopo processi densi di coraggio ed impegno, riesce a dare senso alla vita; tutti questi potrebbero rappresentare più le vittime della crisi delle fondamenta della civiltà, che non quella parte di persone in grado di rischiare per il cambiamento. Ma crediamo tutto dipenda da come si è fatti e dalle esperienze ( anche formative e culturali ) che si sono fatte, rispetto al sentirsi o meno coinvolti in una responsabilità di questo tipo. Alla luce di quanto detto osserveremmo che, in particolare nei contesti di emergenza, il tema dell’attribuzione della responsabilità, varia molto a seconda di come ci si sente coinvolti rispetto agli elementi sopra esposti ed in maniera che definiremmo trasversale riguardo ai diversi attori che entrano in scena. Certo una grande parte di incidenza e di formazione sul senso di responsabilità ce l’hanno i governatori del mondo ma in questo senso sembra esserci una paralisi politica, una difficoltà ad intuire o prevedere scenari di composizione sociale del futuro ed un troppo scarso senso del bene comune . Crediamo allora che si possa ripartire dall’individuo, ed in qualche modo dalla natura più profonda di ogni essere umano. Abbiamo potuto apprezzare, recentemente, la ricchezza e l’originalità del lavoro e dell’esperienza degli operatori del soccorso, volontari e non, laureati e specializzati per far quel tipo di lavoro o semplicemente addestrati al primo soccorso. Certo le diversità sono enormi ma ci sembra che un elemento possa accomunare parecchi di loro : la motivazione, quello che li ha spinti a scegliere di fare proprio quel lavoro o quel servizio, nei momenti più complicati e delicati dei loro interventi diviene una risorsa. Questa motivazione ha molte componenti sia di tipo interno che provenienti dall’esterno; una di queste ci sembra si possa identificare con il bisogno di dare una risposta, con il bisogno di prendere una posizione o meglio di seguire una strada che è opposta rispetto a quella che prendono gli altri, questa potrebbe essere l’immagine : in uno scenario di emergenza tutti corrono cercando di allontanarsi, i soccorritori, certo anche gli spavaldi, certo anche col cuore in gola, certo un po’ anche senza rendersi conto del pericolo ( anche psicologico ) corrono dall’altra parte vanno incontro alla crisi, vanno incontro allo sgretolamento delle certezze. Intervenire sul piano psicologico nelle situazioni di emergenza presuppone un atteggiamento ed una disposizione verso gli altri autentica e consapevole, ed una specifica formazione teorico – pratica non soltanto sulle situazioni e sugli altri, ma anche su se stessi e sulle proprie motivazioni e reazioni. Allo stato attuale di sviluppo della disciplina è possibile individuare protocolli e linee guida piuttosto rassicuranti, ma le situazioni di crisi, per loro stessa definizione, richiedono atteggiamenti morbidi ed adattabili, in grado di aiutare a tollerare lo straripante senso di invasione e di impotenza che l’evento negativo inatteso genera. Gli ambiti di intervento sono a diversi livelli dei vari nodi della rete delle persone, dei gruppi e delle organizzazioni implicati, e variano al variare delle diverse fasi di una emergenza, con il bisogno e l’attenzione al fatto che siano il più possibile coordinati : · nei confronti delle vittime e dei sopravvissuti l’intervento psicologico non mette al centro dell’attenzione una patologia da curare tipica della funzione psichiatrica, ma una normalità da preservare e valorizzare anche in situazioni estreme. Da un modello prevalentemente centrato sul trauma ci si deve orientare ad un modello prevalentemente centrato sulle funzioni adattative ed evolutive degli individui e dei gruppi; · nei confronti dei soccorritori sarebbe molto importante sviluppare stabili integrazioni professionali, che partendo sin dai primi momenti della raccolta della disponibilità e della selezione, si sviluppano seguendo linee formative convergenti e di reciproco rinforzo, per arrivare alla cooperazione ed al lavoro fatto insieme sia sul piano organizzativo che sul sostegno agli aspetti emotivi; · nei confronti delle organizzazioni coinvolte ( amministrazioni locali, forze dell’ordine, volontari, mass media ) potrebbe risultare determinante una funzione di coordinamento e di agevolazione della comunicazione. Occorre diversificare e specificare sempre bene chi deve fare cosa, pur considerando le difficoltà delle situazioni. Questo anche alla luce del fatto che, in molte fasi e situazioni, il lavoro in emergenza viene svolto fianco a fianco con persone di formazione e cultura anche molto diverse. Ecco allora che del bagaglio formativo devono far parte gli ambiti transculturali e psicosociali insieme a quelli di comunità della psicologia. Quello che Alfred Adler ci ha lasciato, rispetto alla psicologia nelle situazioni di emergenza, ma forse non soltanto rispetto a questa, è anche un modo di porsi nei confronti del mondo esterno, in maniera da prestare ascolto alla sofferenza degli altri attraverso il riconoscimento della nostra sofferenza, consapevoli di poterci fare qualcosa insieme. Bibliografia 1. Adler A. (1920), Praxis und Theorie der Individualpsychologie, tr.it. La Psicologia Individuale, Newton Compton, Roma 1992. 2. Adler A. (1933), Der sinn des Lebens, tr.it. Il senso della vita, De Agostini, Novara 1990. 3. Bottome P. (1939), Alfred Adler Apostole of Freedom, Faber and Faber, London. 4. Ellenberger H.F. (1976), La scoperta dell’inconscio, Boringhieri, Torino. 5. Gius E. (2004), Politiche sociali ed etica della politica : dalle catastrofi sociali al nuovo umanesimo, relazione a Convegno Internazionale, Monreale, marzo 2004. 6. Ranzato L. et al. (2003), Catastrofi in Italia: l’alluvione della Valle D’Aosta (ottobre 2000), il terremoto del Molise (ottobre 2002) e il terremoto nelle pendici dell’Etna (ottobre 2002). Lezioni apprese e raccomandazioni, Relazione a Convegno Internazionale, Carcassonne, aprile 2003.

7. Rovera G.G. et al. ( 2004 ), La ricerca in Psicologia Individuale. Contributi teorici, metodologici e pratici. Centro Scientifico Editore, Torino.

 

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