IAIP – Internacional Association of Individual Psychology

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23th Congress of the International Association of Individual Psychology
IL POTERE DEL BAMBINO SULL’ADULTO
Anna Rosa Psicologa psicoterapeuta Istituto “A. Adler” di Torino e-mail: [email protected] Laura Battezzato Psicologa psicoterapeuta Istituto “A. Adler” di Torino e-mail: [email protected] L’epoca in cui viviamo è caratterizzata da una accelerazione di molti processi che sembrano sempre più fuori da ogni controllo. Il benessere materiale si scontra con un livello di malessere generato da una situazione di confusione che va a compromettere alcuni capisaldi della relazione tra i due sessi : la coppia e la famiglia contemporanea offrono evidenti segnali di crisi. La crisi è da considerarsi inevitabile allorché modelli consolidati sembrano divenire inefficaci e non più rispondenti ai bisogni emergenti. Di qui, manifestazioni di sofferenza e disadattamento, confusione di ruoli e compiti, come se l’abbondanza dei beni materiali e della logica del “tutto e subito” avesse spiritualmente svuotato l’uomo. L’immagine di adulto che ultimamente si viene delineando è quella di un soggetto insicuro che ha bisogno egli stesso di poter contare su un sentimento di identità integrato, dotato di senso, condiviso e rassicurante. Tra i fattori di questa regressione identificativa possiamo individuare una trasformazione della famiglia da prevalentemente etica a quasi totalmente affettiva fondata su un codice materno protettivo e legante incapace di spingere all’autonomizzazione (intesa come processo riuscito di separazione-individuazione) e alla responsabilizzazione. Altro aspetto significativo sembra essere la presenza di un’ansia pervasiva intenta a colmare una “mancanza”, dovuta a scarsa capacità emotiva ed affettiva. Il bambino viene quindi a trovarsi in un contesto famigliare privo di figure di riferimento significative, autorevoli, capaci di contenere e limitare le naturali spinte narcisistiche e di onnipotenza. Il non incontrare confini da altri assegnati o la poca chiarezza e coerenza di tali confini, unita ad una mancanza emotiva/affettiva, crea nel bambino un profondo senso di angoscia dettato dal sentirsi in balia di sé stesso (dall’illusoria fantasia di poter “uccidere l’adulto”) senza alcun limite. “Alla legge del Padre si va sostituendo la possibilità assoluta, il “nulla è a me vietato”, il divenire signore delle “possibilità”, assumendo significanza e pregnanza di Dei” (Grandi, Il Sagittario, dicembre 2004). Sembra venire a mancare la funzione deputata a separare il bambino dalla matrice simbiotica originaria che ne soddisfa i bisogni di accudimento e protezione primari, per avviarlo alla responsabilizzazione e all’autonomia. Se i rappresentanti reali di tale funzione psichica sono carenti nella vita affettiva e relazionale del bambino, sarà difficile per lui interiorizzare una funzione normativa e costruire l’istanza psichica dell’ideale dell’Io, che consente all’individuo di attribuire valore alla norma a prescindere dalla presenza di un padre reale o di un suo sostituto nel mondo esterno. Ne consegue la strutturazione di una personalità che funziona secondo un registro “borderline”, dominata dal principio di piacere, poco capace di considerare la realtà nella sua complessità, anzi più portata a forzare la realtà, dominata da una onnipotenza completamente fragile, destinata a frantumarsi di fronte alla prima incursione del reale che sfugge alla negazione. Ma, soprattutto, prende forma una personalità che funziona in isolamento, incapace com’è di identificarsi con chiunque e quindi obbligata a circondarsi di “gente” che difende la solitudine, senza chiedere nulla in cambio. Importante quindi soffermarsi sul ruolo e il tipo di adulto “necessario” alla crescita e formazione personale e sociale del bambino. C’è bisogno di un adulto “capace”, cioè di un uomo che accoglie e combina le rappresentazioni che l’esperienza gli ha consentito di fare, che sappia intervenire, modificare e dare un nuovo indirizzo alla propria esistenza e che sappia “essere” punto di. riferimento, di identificazione, di scontro/confronto, di speranza per i più piccoli. Riferendoci in particolare all’ambito famigliare, c’è bisogno della presenza della “coppia genitoriale”; noi crediamo infatti [tali dati sono confermati e supportati da un’approfondita ricerca effettuata dall’Istituto di Psicologia Individuale “A. Adler” che ha permesso la pubblicazione del libro curato dal Dott. G. Cappello “L’adulto svelato”] che sia proprio la coppia a garantire la possibilità, non soltanto biologica, di generare. Nella coppia si trovano la creatività ed il desiderio, l’incontro e lo scambio; ed è proprio grazie a questo dinamismo della coppia, al percepire l’altro come altro – da – sé, differente, fuori dai propri confini ma mentalmente dentro, che il bambino inizia a sviluppare il sentimento sociale, a vedere e sentire l’altro come qualcuno che arricchisce e dal quale si è arricchiti e non come qualcosa da cui essere dipendenti, da utilizzare o a cui delegare. Lo spazio psicologico adulto deve disporre di una porta aperta che gli permetta di respirare una dimensione pubblica. Un adulto deve essere in grado di garantire continuità tra il “dentro” ed il “fuori”, tra la dimensione della famiglia e quella della vita di comunità. La figura di adulto “capace” che emerge dalla nostra ricerca è quella di un uomo in grado di intervenire, modificare e dare nuovo indirizzo alla propria esistenza; i nostri figli hanno bisogno di adulti che siano capaci di stare fra loro, di portarsi dentro le inevitabili contraddizioni e di costruire una società sostenibile, nella quale si possa andare per incontrarsi e viverci. “Capace” nel vocabolario della lingua italiana significa “atto a contenere molte cose o persone, ampio, largo, spazioso”, deriva dal latino capere : prendere, comprendere, capire. Un adulto capace è quindi un adulto che si muove liberamente in uno spazio mentale “atto a contenere molte cose e persone”, è proprietario di un territorio mentale che racchiude e accoglie, raccoglie ed integra, scioglie le polarizzazioni e lascia incontrare le differenze, affronta ed elaborai problemi. Possiede e si prende cura di un territorio in cui c’è spazio per la paura, ma anche per il suo superamento. Diventa costruttore di speranza con l’intimo desiderio di prendere parte al divenire educativo dei giovani restando in attesa, sapendo gestire l’ansia e l’incertezza inevitbili ed impegnandosi in un’attesa fiduciosa, fertile, partecipe. I colloqui con i genitori che giungono alla stanza di consultazione, gli argomenti prescelti per conferenze per genitori nelle scuole, i problemi sollevati dagli insegnanti nelle consulenze alle scuole stanno sempre più spesso dimostrando come la gestione dei rapporti tra genitori e figli implichi frequentemente la questione delle regole. Se in un modello familiare normativo (centrato sul comportamento dei figli) era difficile che i genitori si ponessero molti interrogativi su quali regole porre ai figli e su come ottenerne il rispetto, nel modello familiare affettivo attuale (centrato sui bisogni dei figli) l’uso della regola nell’educazione del bambino diventa molto più difficile da gestire. Il rischio è quello di un’educazione viziante, che non aiuta il bambino a crescere ma lo mantiene in una condizione di dipendenza e scarsa autonomia, limitando il suo spirito di iniziativa e la sua sicurezza. Spesso il genitore si trova a dire di sì alla richiesta del figlio non perché ha valutato che quello che gli chiede il bambino serve alla sua crescita e ad un suo sviluppo armonico e positivo, o almeno non la ostacola, ma perché spesso emergono vissuti tipo “se dico di no”… ¨ … mi sento in colpa (ci sono poco con i figli / compensazione) ¨ … mi sento cattivo (me lo dicono anche: rifiuto d’amore) ¨ … non sopporto vedere che mio figlio ci sta male ¨ … non voglio fargli mancare nulla (compensazione di mie carenze) ¨ … ho bisogno dell’approvazione di mio figlio (sentirsi bravi genitori) Questo porta però ad una “latitanza” rispetto al proprio ruolo, mentre risulta utile, dopo aver valutato la situazione, dare un’indicazione, assumersi una responsabilità seppure con essa anche il rischio di sbagliare; risullta più utile però la presenza di un genitore con cui confrontarsi (ed eventualmente anche scontrarsi), qualcuno che si pone come una base sicura per lo slancio della crescita. Nel lavoro clinico si è colta l’importanza di rinforzare i genitori nel loro ruolo, nella sicurezza di loro stessi, nella loro capacità di cogliere i bisogni sani del bambino distinguendoli da quelli non sani (ovvero i bisogni che fanno crescere, sono adeguati alla sua età, lo portano verso gli altri anzichè centrarlo su di sé). Ne consegue quindi che dire di no è importante perché: 1. le regole danno sicurezza e contenimento; 2. le regole esterne diventano regole interne; 3. i no permettono di sperimentare e abituarsi a gestire la frustrazione; 4. non è possibile avere tutto e subito: saper aspettare/rinunciare/guadagnarsi; 5. i no danno valore e significato ai sì; 6. il limite aiuta a scoprire che c’è un altro al di fuori di me[1]. Compito dell’adulto è quindi, quello di rappresentare una speranza, assumere l’onore e la responsabilità di essere la garanzia per i bambini; ma si può essere la speranza di qualcuno solo se si accetta di condividere la fatica del crescere, del modificarsi e lasciarsi modificare avendo in testa e nel cuore un progetto, con dei desideri e con la fiducia in sé e negli altri. 1. Si possono rilevare diversi valori di una corretta gestione delle regole nel processo educativo: q le regole danno sicurezza e contenimento: aiutano il bambino ad orientarsi nella realtà, a riconoscere che ci sono dei limiti, a capire fin dove può spingersi e dove fermarsi. Questo lo aiuta a muoversi nel mondo, nonostante le esperienze che dovrà inevitabilmente fare è importante che abbia dei riferimenti chiari; q Le regole esterne diventano regole interne: le regole e i limiti posti dall’esterno diventano via via regole e limiti interni, interiorizzati, e permettono al bambino di acquisire più facilmente autonomia, autocontrollo, morale interna q I “no” permettono di sperimentare la frustrazione: le regole e i no fanno crescere perché permettono al bambino di sperimentare la frustrazione e di abituarsi a fare i conti con essa. Non è possibile che nel futuro dei nostri figli vi sia sempre la piena e completa soddisfazione di loro desiderio. Incontreranno sicuramente delle frustrazioni, dei divieti, delle cose che non possono fare o non possono avere, e devono abituarsi a tollerare tutto ciò; q Non è possibile avere tutto e subito, occorre sapere aspettare / sapere rinunciare / saper guadagnare: i no trasmettono al b. che non è possibile avere tutto e subito: certe cose si possono avere ma ci vuole del tempo, bisogna saper aspettare e certe cose vanno conquistate, guadagnate; q I no danno valore e significato ai sì: senza l’esperienza della mancanza e della frustrazione tutto viene dato per scontato, per acquisito, non c’è più desiderio, e questo produce un profondo senso di noia (che è un male molto diffuso nella gioventù di oggi), una mancanza di desiderio, un impoverimento delle emozioni (il gusto di raggiungere finalmente qualcosa che si è tanto desiderato viene meno); q Il limite mi fa scoprire che ci sono altri al di fuori di me: mi costringe a decentrarmi. Il limite aiuta il b. a rendersi conto che non c’è soltanto lui con le sue esigenze: “ci sono anche gli altri e gli altri sono diversi da me, quindi inevitabilmente pongono dei limiti a me e alla mia libertà e io devo saper tollerare questo. Il no mi fa capire che c’è qualcun altro con cui mi devo confrontare e non solo qualcun altro che soddisfa tutti i miei desideri; mi aiuta cioè a spostare l’attenzione da me stesso agli altri e ai bisogni degli altri che dovrò armonizzare con i miei. L’altro non è soltanto colui che soddisfa i miei bisogni, ma è un soggetto con i suoi bisogni, con le sue esigenze, che devo rispettare, rispetto a cui devo riconoscere i limiti”. Ciò permette di passare dalla posizione del bambino piccolo che è dipendente e narcisista, tutto concentrato su di sé e sui propri bisogni e che si aspetta tutto dagli altri, alla posizione dell’adulto che si rivolge agli altri, che sa cogliere i bisogni degli altri diversi dai suoi, che sa occuparsi degli altri, che sa stare con gli altri.

 

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