D.ssa Barbieri Saveria D.ssa Maffucci Cristiana Can the manly protest, the important clue of individual psychology, be nowadays considered with the tipical attention of the past years? The contrast men-women has dominated the landscape of our thinking and has loaded on itself the evocation of other contrasts as the ones between strong and weak, superior and inferior. To focus if that dichotomy is still alive in our days, we’ll use mythological and sociological sources integrated by individual psychlogy. During the centuries the woman and the man have seen well defined rolls lay down on their imagine, that you could already find in the classical mythology of the antique Greece: for example Afrodyte has the aspect of the seductive lover, Demetra plays the roll of the mother, Era plays the roll of gelous and frustrated wife, Artemide, confined in savage land, represent loneliness, Atena embodies the rational espression, Zeus the majesty and power, Apollo the beauty and crudelty and Ares violence and aggressivity. The specificity of those peculiarities gave securities and drove easilier the lives: it produces, though, in the woman repression and submission, taking her progressively to the exasperation of a style of life marked by manly conventionality and by dequalification of feminine style of life. This change, if on one way has conducted the woman to the reaching of a major emancipation and economical independence, provokin consequentely also an affective independence, on the other way has determined in the man a great confusion, connected with the loss of his original power. LA PROTESTA VIRILE NELLA DONNA : esiste ancora? L’opposizione tra maschile e femminile ha dominato da sempre il paesaggio del nostro pensiero e ha caricato su di sé l’evocazione di altre opposizioni fondamentali, come quella tra forte e debole, tra pubblico e privato, tra superiore ed inferiore. Nel corso dei secoli l’essere umano ha visto depositarsi sulla propria immagine ruoli ben definiti: la donna quello di moglie, di madre che si cura della prole e a cui è affidata la gestione della casa, l’uomo quello del potere politico e sociale. Si evidenzia così il contrasto fra interno ed esterno, fra casa e società che rimarrà per lungo tempo la principale diatriba fra donna e uomo. Il confinamento delle donne in ambito domestico è il portato di una gabbia ideologica, ovvero di espulsione dalla sfera dei poteri e dei saperi tradizionalmente maschili, ma in esso le donne hanno saputo creare proprie forme di potere e di sapere. Il vincolo maschile, quindi, non è stato cogente complessivamente. I compiti prima evocati davano ad entrambi un significato ed un senso. Questa rappresentazione sta andando incontro ad una crisi profonda, che deriva anche da una critica al sistema dei valori che essa incorpora, con la superiorità del ruolo maschile e la subordinazione di quello femminile. Le nostre società hanno cominciato a mettere in discussione la stessa necessità di vivere con identità di genere definite. Il dominio di queste identità dava sicurezze e guidava più facilmente le vite, ma produceva anche repressione e limitava le possibilità di vita, aperte a ciascuno. Quello che appare quindi, è che i ruoli dell’uomo e della donna hanno subito grandi cambiamenti. Nel contesto odierno, l’indipendenza economica della donna ne amplifica le esigenze rispetto al passato. Come sostiene Lino Grandi ( 2002) il femminile si affaccia con prepotenza nell’arena del sociale. Il raggiungimento di tale potere sembra accompagnarsi alla confusione dell’uomo che sente di perdere il suo potere originario. Iniziamo la nostra riflessione partendo dal pensiero di Adler. Vedremo come egli ha trattato l’opposizione maschile – femminile nel suo impianto teorico, focalizzando la nostra attenzione sulla protesta virile. La protesta virile, uno degli spunti di rilievo della psicologia individuale, è un termine introdotto da Adler in riferimento sia agli uomini che alle donne, per descrivere il rifiuto del ruolo femminile dovuto ad una distorsione nell’apprendimento delle differenze sessuali soprattutto in quelle società fondate sulla supremazia maschile. Nella donna la protesta virile assume i tratti dell’aggressività, dell’attivismo con tendenza a dominare chiunque le stia accanto; nel maschio, detta protesta deriva da un dubbio nevrotico sulla propria virilità da cui egli ricava un senso di inferiorità che compensa con un’identità fittizia di maschilità prevaricante (Galimberti, 2000). La protesta virile comprende, quindi, tutte le compensazioni fondate sull’esasperazione di uno stile di vita improntato alla convenzionalità maschile e presume un’opinione dequalificante sullo stile di vita femminile. Suoi presupposti fondamentali sono due coppie di concetti, anch’essi da intendersi in senso relativo al contesto storico e allo stile di una contingente società: alto = maschile e basso = femminile. Il carattere relativo della protesta virile nasce da una precisa formulazione di A., il quale analizzando il proprio contesto sociale, individua in una tradizione ancora impostata sulla subordinazione femminile, lo stimolo di partenza per una protesta virile. Sulla base di ciò egli ipotizzò un rovesciamento degli schemi tradizionali che se da una parte avrebbe portato ad un consolidamento del ruolo della donna in campo socio-culturale, dall’altra avrebbe generato perplessità ed ambivalenza tra i sessi. La protesta virile si estende oltre una distinzione dei sessi anatomo-fisologica. Infatti secondo A. le caratteristiche psichiche proprie dell’uomo e della donna sono il risultato dei costumi sociali e non sono condizionati da nessuna differenza biologica. Egli si distanzia dalla concezione freudiana impostata sull’invidia del pene, in quanto tale concetto è limitato all’anatomia, alla fisiologia e alla pulsionalità erotica. Francesco Parenti ( 1983) non ritiene che una piccola e localizzata frazione corporea in più sia oggetto di invidia in nessun tipo di società. Egli accetta l’invidia del pene solo se con questo termine si intende invidia del ruolo assicurato dal pene. Come vedremo successivamente nei riferimenti mitologici da noi scelti, sembra invece che un ruolo di rilievo abbia giocato l’invidia dell’utero, in quanto potere di dare la vita e la morte. Una lunga tradizione culturale ha identificato, praticamente dalla notte dei tempi, il genere femminile con un soggetto altro dalle caratteristiche fortemente ambivalenti: purezza, pudore, innocenza, sottomissione all’uomo erano le qualità della donna angelicata; ribelli, volitive, indipendenti furono le figure femminili immortalate in una mitologia che ha percorso i secoli fino all’epoca contemporanea. Fosse angelo o demone, in questo complesso di discorsi la donna appariva comunque come una misteriosa entità da tenere a bada con le buone o con le cattive, e soprattutto come un essere ontologicamente inferiore all’uomo: la regola fondamentale di tali rappresentazioni era quella di una differenza che si declinava incontestabilmente come minorità, deficienza, imperfezione. Una simile normativa simbolica appariva alla stragrande maggioranza degli uomini complessivamente sufficiente, fino all’epoca contemporanea, a contenere entro limiti ben definiti l’identità femminile: ad essa si accompagnava naturalmente una ben più prosaica e puntuale normativa giuridica, e l’una e l’altra riproducevano un ordine diseguale del potere come forma immanente di una superiore necessità naturale, morale e divina. Sulla base di ciò forniamo una selezione di miti classici che esemplificano quanto appena detto. Lilith è una figura mitologica che rappresenta l’aspetto completamente libero e rivoluzionario della donna. L’origine del nome è assiro-babilonese, LILITU, che significa spirito del vento. Lilith o Ecate, per molte civiltà, è stata la prima donna a comparire sulla Terra, creata dal fango, esattamente come Adamo; fuggì dall’Eden, abbandonò Adamo per non subire l’imposizione di sdraiarsi sotto di lui nel rapporto sessuale, atto considerato di sottimissione e si rifugiò in una grotta sul Mar Rosso. Subito dopo la sua fuga, Dio creò, da una delle costole di Adamo, Eva che provenendo direttamente da lui, sarebbe divenuta un simbolo di devozione e di complementarietà nei suoi confronti. Mitologia greco-romana Dal Caos primordiale nasce Gea, la Grande Madre Terra la quale partorisce, senza bisogno di connubio alcuno Urano (il cielo), Ponto (il mare) ed Eros (cioè l’amore creatore della vita). Col tempo a Gea vengono dati caratteri meglio definiti e diventa così la madre di tutti gli esseri viventi e, insieme, del mondo sotterraneo nel quale essi, compiuto il loro ciclo, vanno a finire. Il potere di generare, di nutrire, di popolare il mondo identifica quindi la donna con la terra, con la quale ha in comune sia il potere di generare sia l’imprevedibilità catastrofica che fa parte del ciclo di momenti evolutivi ma che l’uomo definisce con il termine crudeltà. La Terra dunque, con tutta la sua potenza, è il femminile, l’origine, il principio dell’umanità, la Grande Dea dalla quale discende ogni cosa. Afrodite-Venere. La dea dell’amore e della bellezza. Venere era moglie di Vulcano, dio del fuoco e della lavorazione dei metalli, ma spesso gli fu infedele. La leggenda più famosa di Afrodite è legata alla causa della guerra di Troia. Alle nozze del re Peleo con la ninfa Teti non venne invitata Eris, dea della discordia, che per vendicarsi gettò durante il banchetto una mela d’oro su cui erano incise le parole “Alla più bella”. Subito la mela venne rivaleggiata da Era, Atena ed Afrodite che si rivolsero a Zeus per un scelta. Zeus però non volle decidere chi fosse la più bella ed esse allora si rivolsero al principe di Troia Paride. Ognuna di esse gli promise un dono. Era gli avrebbe dato potere, Atene gloria militare, Afrodite la donna più bella del mondo. Paride diede la mela ad Afrodite e come dono chiese Elena, moglie del re greco Menelao. Il rapimento di Elena scatenò la guerra di Troia. Demetra-Cerere. Figlia del titano Crono e di Rea veniva considerata nella mitologia greca la dea del grano e dei raccolti. Quando sua figlia Persefone, fu rapita da Ade, dio degli Inferi, mentre coglieva fiori, Demetra ne fu così addolorata che trascurò le terre, sulle quali non crebbe più alcuna pianta, e la carestia si abbatté sul mondo. Preoccupato per la situazione, Zeus chiese al fratello Ade di restituire Persefone alla madre. Questi acconsentì, ma prima di liberarla le fece mangiare i chicchi di una melagrana magica che l’avrebbero costretta a ritornare da lui sei mesi all’anno. Felice di aver ritrovato sua figlia, in primavera Demetra faceva nascere dalla terra fiori, frutti e grano in abbondanza, ma in autunno, quando Persefone era costretta a ritornare nel mondo sotterraneo, il suo dolore provocava la morte della vegetazione e l’arrivo dell’inverno. Era-Giunone. In quanto sorella e sposa di Giove, era considerata dagli antichi romani come la regina degli dei. Giunone veniva spesso identificata con Era nella mitologia greca ed anche in quest’ultima veniva considerata la dea protettrice del matrimonio. Moglie fedele e gelosa era famosa per perseguitare le amanti ed i figli di Zeus e per non dimenticare mai alcuna offesa. Le vendette di Era venivano tramandate in varie leggende, tra di esse probabilmente la più famosa è quella nei confronti del principe troiano Paride che le aveva preferito Afrodite in una gara di bellezza e che, per questa ragione, aiutò i greci nella guerra di Troia finché la città non venne distrutta. Artemide- Diana. Dea della Luna e della caccia, era la protettrice degli animali selvatici. Alle proprie fedeli predilette facilitava il parto. Era armata di arco e frecce con cui puniva i mortali e prometteva una morte rapida ed indolore alle donne che morivano di parto. La leggenda narra che sebbene fosse la protettrice delle fanciulle, volle il sacrificio di una vergine per permettere ai greci di salpare durante la guerra di Troia, ma, secondo alcune versioni, salvò la vittima, Ifigenia, all’ultimo momento. Atena- Minerva. Dea dei lavori manuali e patrona delle arti e del commercio, identificata nella mitologia greca con Atena, figlia di Zeus, dalla cui testa nacque già adulta ed armata della sua lancia, di uno scudo ornato con la mostruosa testa della gorgone Medusa, dell’egida e di un elmo. Atena era anche la protettrice dell’agricoltura e dei mestieri femminili, tra cui filatura e tessitura. Nella mitologia più tarda divenne la dea della saggezza e della guerra, infatti diede moltissimi aiuti ai greci durante la guerra di Troia i quali però non rispettarono la sacralità di un suo altare dopo la caduta di Troia per raggiungere la profetessa troiana Cassandra. A causa di questo affronto Atena chiese a Poseidone di scatenare una tempesta che fece affondare la maggior parte delle navi greche che tornavano dalla guerra. Nel mito delle Amazzoni accanto al potere, alla forza magica, appare la crudeltà, primo segno di una trasformazione del timore in vero e proprio terrore. Le Amazzoni costituivano una popolazione residente in uno stato della regione del fiume Termodonte, sulla costa meridionale del Mar Nero. Erano governate da regine e il potere era interamente in mano loro; gli uomini erano ridotti al rango di schiavi, considerati soltanto come riproduttori e resi inabili all’uso delle armi, uso riservato alle sole donne che, per poter meglio maneggiare l’arco, sottoponevano al taglio di uno o di ambedue i seni (da qui il nome: a-mazos, senza seno). Secondo la leggenda queste donne, a parto avvenuto, uccidevano i figli maschi. Questi miti prodotti dall’immaginario maschile, sembrano voler esorcizzare l’idea di un eventuale potere femminile. Come già precedentemente accennato Adler, attento osservatore dei mutamenti sociali e precursore dei tempi, individuò nel mito dell’inferiorità della donna l’origine di uno stato di tensione che avrebbe disturbato l’armonia tra i sessi: “La competizione con il maschio privilegiato ancora nella nostra società stimola nella donna il bisogno di compensare un sentimento di inferiorità incrementando l’addestramento e sviluppando maggiore energia. Questo in certe donne prelude ad una protesta virile che può dar luogo a innumerevoli conseguenze, buone e cattive, situate tra i due poli della perfezione e delle anomalie spinte sino al rifiuto dell’amore” ( 1997 p. 38). Nel corso del XIX secolo apparve sempre più chiaro a molti uomini che i tradizionali fondamenti di legittimità della disuguaglianza di potere fra uomini e donne non avrebbero a lungo resistito alla realtà di fatto di un contesto sociale e culturale in continua trasformazione, e soprattutto – nella seconda parte dell’Ottocento – di una messa in discussione collettiva di quella disuguaglianza da parte delle donne stesse. Non si trattava più, di singole donne indisponibili ad accettare singole iniquità, ma di veri e propri movimenti organizzati, e diffusi in quasi tutti i paesi occidentali, che per la prima volta nella storia criticavano, sul piano dei diritti sociali e politici, la logica stessa del privilegio maschile nel pubblico e nel privato. I movimenti femminili colsero questa contraddizione con l’obiettivo del raggiungimento della parità di sessi, provocando l’ingresso della donna nell’ambito pubblico, fino ad allora dominio degli uomini. Queste rivendicazioni si sviluppano nel secondo dopoguerra e soprattutto dalla fine degli anni sessanta, favorite anche dal nuovo clima che s’impone durante il movimento del Sessantotto. Esse si intrecciano col diffondersi in tutto l’occidente del movimento femminista, nato dalla riflessione sulla contraddizione fra uomo e donna e sulle disuguaglianze esistenti nella società. La supremazia dell’uomo, secondo le femministe, tende a trovare la sua giustificazione e legittimazione in quei valori maschili, intimamente gerarchici, competitivi, aggressivi che si sono finora affermati in tutti i campi della storia umana. Di qui il carattere di forte contrapposizione, spesso di antagonismo, che il movimento assume verso la società maschilista. Nasceva così il modello della donna moderna e le identità femminili si moltiplicarono, vissute spesso in modo contraddittorio, soggette a tensioni che preludevano alla vita delle donne nel XX secolo. L’epoca in cui viviamo è caratterizzata almeno per quanto concerne il mondo occidentale, da una accelerazione di molti processi ormai fuori da ogni controllo; si considerino quali indicatori, l’emancipazione della donna, nel privato, nel lavoro, nel sociale ( L.Grandi 2002). Come egli sostiene si è di fronte ad una effettiva rivoluzione che scardina la tradizione delle aspettative di ruolo e del soddisfacimento dei bisogni, il che comporta, ed è inevitabile, il “seme della discordia”. Discordia perché vengono frustrate le attese, spesso non chiaramente consapevolizzate. Discordia perché il maschio ravvisa nell’emancipazione della donna un abbandono dei valori e soprattutto un trascurare i suoi bisogni. Ma come armonizzare una sfida progressiva con le forze che pressano l’uomo e la donna? La differenza sessuale è anzitutto biologica, quindi è un dato di natura. Gli ordini simbolico, della rappresentazione, della significazione e del pensiero, attribuiscono il medesimo senso a tutti i dati di natura. Va detto che nella differenza sessuale in sé, come dato naturale, non è iscritta alcuna gerarchia. La differenza sessuale non esprime, di suo, la superiorità di un sesso rispetto all’altro. La potenza creatrice del corpo femminile, ossia di quel corpo che genera la vita, è l’unico elemento gerarchizzante di questa differenza. La tradizione denominata patriarcale, affermando la superiorità del maschile sul femminile, ha inteso così reagire alla potenza materna, traducendo la differenza sessuale in una gerarchia di preminenza maschile in cui il femminile si limita ad un ruolo secondario. A questo stato di cose subentra, nella modernità, il principio di uguaglianza. Prima dell’avvento della società moderna e del principio egualitario era impensabile che una donna ricoprisse il ruolo di un uomo. Attualmente, dal punto di vista dell’ordine simbolico, ossia della rappresentazione, il femminile continua a essere pensato come naturalmente domestico, materno e il maschile come naturalmente dominante, intelligente, razionale, politico. Gli stereotipi permangono, ma in compagnia di meccanismi che consentono alle donne di essere immesse in ruoli prima riservati agli uomini. La donna emancipata è qualcuno che esce dal ruolo stereotipico femminile per entrare in quello tradizionale maschile. Ella può essere più brava degli uomini, ma a costo che interpreti un ruolo maschile. In sostanza si potrebbe dire che la donna imita il più delle volte il paradigma maschile. Questo è il paradosso dell’uguaglianza. Le donne fanno il loro ingresso nei luoghi tradizionali dei saperi e dei poteri solo se diventano surrogati del modello maschile, arrivando persino a scimmiottarne i gesti. Questo è un segno del fatto che non è affatto cambiato l’ordine simbolico, l’ordine della rappresentazione. I termini del problema non sono quelli di mantenere la dicotomia esistente. Questa dicotomia dovrebbe essere spezzata perché è, in ogni caso, una dicotomia gerarchica, nella quale la differenza equivale a inferiorità. Per rompere la dicotomia sarebbe necessario ripensare la cosiddetta differenza sessuale, non registrandola più come una gerarchia. Come sostiene L. Grandi (2002) infatti per il raggiungimento di una comunicazione autentica che tolleri la diversità, si dovrebbe affrontare l’inevitabile ambivalenza sottolineandone l’aspetto di complementarità. In conclusione tale nostro lavoro, alieno dall’esprimere una valutazione, si è posto il fine di riflettere sulle difficoltà relazionali che si riscontrano nella società odierna . Difficoltà legate al rapporto uomo-donna, in cui è difficile stabilire un contatto, un incontro, tra due polarità che si attraggono e si fondono armonicamente, è più frequente, invece, che si verifichino incomprensioni e divergenze dovute, forse, alla paura reciproca del potere dell’altro. Quindi, la protesta virile può essere a tutt’oggi considerata con l’attenzione propria dei decenni scorsi? Bibliografia ANSBACHER H. & R., (1997), La psicologia individuale di Alfred Adler, Martinelli, Firenze. ARGENTIERI S., (1999), ” Identità maschile e femminile” Il Grillo ( 13/04/99) tratto dall’Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche. CAVARERO A., (2000),” La filosofia della differenza sessuale” Il Grillo ( 05/04/00) tratto dall’Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche. EINAUDI (2005), Enciclopedia Multimediale. GALIMBERTI U., (2000), Dizionario di psicologia, UTET, Torino. GRANDI L., ( 2002), E’fuori controllo il cambiamento nelle relazioni interumane,Il Sagittario, 12,Torino. ORGLER H., (1970), Alfred Adler e la sua opera, Astrolabio, Roma. PARENTI F., (1983), La psicologia Individuale dopo Adler, Astrolabio, Roma.
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